sabato 26 maggio 2012

Sintesi del Capitolo XXVII dei Promessi Sposi

Appena Renzo esce dal lazzaretto, cominciano a cadere goccioloni "radi e impetuosi", che si trasformano ben presto in una pioggia battente. Il giovane ci sguazza felice, camminando senza preoccuparsi di come o dove passerà la notte: tutto preso dal pensiero che Lucia è ormai sua, rievoca l'angoscia con la quale aveva percorso la medesima strada il giorno prima, lo sconforto della ricerca tra i convalescenti della processione, l'odio ormai scomparso per don Rodrigo...Verso sera arriva a Sesto e compra due pani; " uno in tasca e l'altro alla bocca, e avanti". A Monza è già notte: tuttavia riesce a trovare la strada giusta. L'accidentato percorso notturno, accompagnato da ricordi e sogni, tornerà spesso nei racconti avvenire di Renzo: racconti che-osserva il narratore-anche l'anonimo deve aver ascoltato dalla sua voce.
All'alba la pioggia è divenuta un'acqueruggiola fine; il "viaggiatore" si trova sulla riva dell'Adda e rivede, con gran consolazione, il Resegone e i luoghi a lui cari. È a Pescate; costeggia l'ultimo tratto del fiume, passa il ponte ed è subito a casa dell'amico ospitale. Gli comunica tutto eccitato la lieta notizia; poi, riscaldandosi al fuoco, si cambia gli abiti zuppi e infangati e si rifocilla con la polenta preparata dall'amico. Per tutta la giornata, mentre dà una mano per i preparativi dell'imminente vendemmia, racconta senza stancarsi le sue esperienze milanesi. Il giorno dopo, all'alba, parte per Pasturo, dove si trovava Agnese.
Nel paese gli è indicata una casuccia isolata. Agnese si affaccia alla finestra, ed egli previene ogni sua domanda con notizie consolanti: " Lucia è guarita: l'ho veduta ierlaltro; vi saluta; varrà presto". Agnese vorrebbe precipitarsi ad aprirgli, ma Renzo si è fatto cauto: "Aspettate: e la peste?". La donna gli indica allora un orto dietro casa, dove sono due panche: il luogo ideale per parlare senza pericolo di contagio. La conversazione è tutto un "esclamare", un "condolersi", un "rallegrarsi": si parla di don Rodrigo e di fra Cristoforo, si avanzano progetti, come quello di andare a vivere tutti insieme nel Bergamasco dove Renzo è già avviato bene nel lavoro. Appena cessato il pericolo della peste, Agnese tornerà al suo paese ad aspettare Lucia; i cinquanta scudi che Renzo aveva a suo tempo ricevuto serviranno per mettere su casa.
Renzo, lieto di aver trovato Agnese sana e salva, torna a casa con l'amico. La mattina dopo, di buon'ora, parte verso il paese adottivo. Qui trova Bortolo in buona salute e fiducioso: il male ha infatti perso la sua virulenza, e si manifesta al più con febbriciattole, o con qualche "piccol bubbone scolorito"; la gente comincia ad uscire, " a farsi a vicenda condoglianze e congratulazioni"; si parla già di riprendere i lavori. Renzo trova a casa e l'arreda, "che tutto era a buon mercato, essendoci molta più roba che gente che la comprassero". Dopo alcuni giorni Agnese, accompagnata da Renzo, torna al paese e trova la casa come l'aveva lasciata: questa volta, pensa, " avevano fatto la guardia gli angioli". Si mette subito in faccende per ospitare in modo decoroso la mercantessa; poi va in cerca di seta , e lavorando passa il tempo. Renzo, dal canto suo, aiuta l'amico a coltivare il podere, e dissoda l'orticello di Agnese; del proprio, troppo inselvatichito, non si cura. Il bando è ormai cosa passata: i decreti, se non colpivano subito, rimanevano senza effetto, " come palle di schioppo, che, se non fanno colpo, restano in terra, dove non danno fastidio a nessuno". In quanto a don Abbondio, lui e Renzo si evitavano a vicenda: don Abbondio perchè non vuol " sentire intonar qualcosa di matrimonio"; Renzo perchè non vuole parlarne finché non sia giunto il momento. Si sfogava con Agnese, e sempre sullo stesso argomento: il ritorno tanto atteso di Lucia.

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