sabato 24 agosto 2013

Le virtù di Evagora-Versione Greco Isocrate (Libro: Euloghia)

Infatti da fanciullo fu dotato di bellezza così come di forza fisica e d'assennatezza, le quali appunto, tra le virtù, sono le più adatte ai bambini di quell'età. E uno, di questi fatti, potrebbe anche produrre testimoni: per l'intelligenza, coloro che, tra i cittadini, furono educati assieme a lui, per la bellezza invece tutti coloro che l'hanno visto, per la forza fisica infine gli agoni sportivi, nei quali quello fu il più forte fra i coetanei. E quando divenne uomo, tutte queste virtù aunentarono insieme, e a queste si aggiunsero la virilità, oltre alla saggezza e alla rettitudine, e quest'ultime non moderatamente né come le altre, ma ciascuna in misura maggiore: infatti fu talmente superiore sia nelle virtù del corpo che in quelle dello spirito che i re di allora, ogni qual volta lo vedevano, erano colti dal timore e dallo spavento riguardo al governo, ritenendo che non fosse possibile che un uomo di tali qualità naturali trascorresse la vita da privato cittadino, e ogni qual volta ne osservavano le maniere, si affidavano completamente a lui, in modo da considerare, se anche un altro avesse osato commettere errori nei loro confronti, che loro, come difensore, avrebbero avuto Evagora.

sabato 23 febbraio 2013

"Hai condannato a morte la tua città!"

Versione Greco dal libro " I Greci: la lingua e la cultura 2"; autore: Iperide.

Se pensi che ballando il cordace e suscitando il riso, cosa che di certo sei abituato a fare davanti ai giudici , verrai assolto, sei stolto a cominciare per primo ad offendere l'indulgenza, o un sentimento di compassione conforme alla giustizia da parte di costoro.
Di certo non ci manca molto: infatti non hai pensato di conservarti qualche simpatia presso il popolo ateniese, ma altrove, e non pensavi di dover adulare coloro che potevano salvarti, ma quelli che erano temibili per il popolo.
E pensando che un solo uomo sarebbe stato immortale, hai condannato a morte una città così importante, non avendo compreso quella cosa, che nessuno dei tiranni è mai ritornato in vita una volta morto, e che invece molte città sono riuscite a risorgere di nuovo completamente.

martedì 29 maggio 2012

Libro 2

L'inganno del cavallo. Il falso racconto di Sinone. Laocoonte. [vv.1-227]    

Tra l'attenta e silenziosa attesa di tutti, Enea, dopo aver affermato che la rievocazione dei fatti che sta per narrare è per lui molto dolorosa, inizia il suo lungo racconto. I Greci, visti inutili i numerosi tentativi di espugnare Troia, costruiscono un gigantesco cavallo di legno e fanno entrare al suo interno uno stuolo di soldati scelti. Diffondono la voce che il cavallo sia un voto agli dei per il ritorno e organizzano la messinscena di una falsa partenza andando a nascondersi nell'isoletta di Ténedo, di fronte a Troia. I Troiani, convinti che i nemici siano partiti, escono in massa dalle mura. Tutti ammirano stupiti la mole del cavallo. C'è chi propone di distruggerlo e chi invece vorrebbe introdurlo in città. dalla rocca accorre il sacerdote di Nettuno Laocoonte, il quale ritiene che il cavallo nasconda qualche insidia. Frattanto, mentre Laocoonte cerca di convincere i Troiani dell'insidia, viene portato un prigioniero greco di nome Sinone, che si è lasciato catturare di proposito per ingannare i Troiani. Sinone inventa una storia che commuove i Troiani, i quali risparmiano la vita al falso prigioniero e gli chiedono per quale motivo i Greci abbiano costruito quell'enorme cavallo. Sinone risponde che il cavallo è un'offerta espiatoria per Minerva (Pallade Atena) irata con i Greci a causa di un sacrilegio commesso nel suo tempio da Ulisse e Diomede. Il cavallo -continua Sinone- è stato costruito in quelle dimensioni per impedire che venga introdotto nella città. Infatti, se i Troiani riusciranno a portarlo in città l'Asia conquisterà la Grecia, mentre, se distruggeranno il cavallo, sul regno di Priamo si abbatterà una terribile rovina. Un terribile prodigio convince definitivamente i Troiani dell'attendibilità di Sinone. Mentre Laocoonte sta compiendo un sacrificio al dio Nettuno in riva la mare, escono dalle acque due serpenti che lo assalgono e lo uccidono insieme ai suoi figli. Terrorizzati dall'avvenimento, i Troiani pensano che il sacerdote sia stato punito per la sua incredulità e decidono di portare il cavallo in città aprendo una breccia nel muro per consentirne il passaggio.

Ettore appare in sogno a Enea. I Greci escono dal cavallo. La città è invasa [vv.228-297]

L'orrenda fine di Laocoonte è considerata la prova della veridicità delle parole di Sinone. Tutti si apprestano con entusiasmo a portare il cavallo nella città. Nonostante che durante il trasporto l'interno risuoni del rumore delle armi, viene aperta una breccia nelle mura e il cavallo è issato sulla rocca. La città è in festa e invano Cassandra presagisce l'imminente sciagura. Calano frattanto le tenebre e, quando tutti sono immersi nel sonno, la flotta greca muove silenziosamente da Tenedo e manda un segnale a Sinone che apre la cavità del cavallo e fa uscire i Greci. A Enea, immerso nel sonno, appare l'ombra di Ettore, col volto insanguinato e sfigurato come era quando Achille aveva fatto scempio del suo corpo. Ettore piangendo annuncia a Enea la sciagura che si è abbattuta su Troia e lo invita a fuggire precipitosamente: ormai non c'è più scampo, la città non può essere difesa e a Enea è affidato il compito di mettere in salvo le cose sacre e i Penati di Troia. 

[vv.298-434] 

Frattanto nella città infuria la strage. I rumori della battaglia giungono anche alla casa di Enea, il quale si sveglia di soprassalto e impugna le armi. Si uniscono a lui altri compagni ed Enea, con la mente sconvolta dall'ira si getta nella mischia. La schiera guidata da Enea si imbatte in un drappello di Greci al comando di Androgeo che li scambia giunti ora dalla nave e li rimprovera per la loro lentezza. Quando si accorge dell'errore è troppo tardi: i Troiani assalgono i Greci, li uccidono e si impadroniscono delle armi e delle insegne dei nemici. In questo modo riescono a trarre in inganno gli invasori uccidendone molti e costringendo altri a fuggire verso il lido o a rifugiarsi all'interno del cavallo. Enea e compagni giungono presso il tempio di Minerva dove assistono a uno spettacolo crudele. Cassandra, la profetessa figlia di Priamo, è trascinata fuori dal tempio da Aiace Oileo. Corebo, uno dei compagni di Enea e promesso sposo di Cassandra, si lancia contro i nemici seguito dai compagni, ma i Troiani appostati sul tetto li scambiano per nemici e comincino a bersagliarli. Accorrono frattanto molti Greci e il drappello di coraggiosi Troiani è individuato e viene sopraffatto. Enea con i superstiti si dirige al palazzo di Priamo

Invasione della reggia e assassinio di Priamo [vv.435-558]

Enea e i suoi compagni si dirigono alla reggia di Priamo, dove infuria la battaglia. Enea, attraverso un passaggio segreto, riesce a penetrare nel palazzo e, salito in cima a un tetto, fa rotolare sugli assedianti una torre. Ma ogni tentativo di difesa è vano. I nemici, guidati da Neottolemo/Pirro, figlio di Achille, accorrono ancora più numerosi e hanno la meglio: irrompono nelle grandi e magnifiche sale della reggia e fanno strage di Troiani. Il vecchio re Priamo, in un vano tentativo di difesa, indossa l'armatura, ma la moglie Ecuba lo conduce presso un altare insieme alle figlie, sperando che i nemici rispettino i luoghi sacri. Pirro, continuando la sua crudele strage, insegue Polite, il figlio di Priamo, e lo uccide proprio davanti agli occhi del padre. Allora Priamo, augurandosi che gli dei lo puniscano per quell'atto sacrilego, vibra un innocuo colpo di lancia contro Pirro. Questi, pronunciando parole piene di sarcasmo, lo afferra per i capelli e lo trafigge. 

Enea torna alla sua casa. La fuga dalla città. La scomparsa di Creusa [vv.559-804]

Enea è sconvolto per la morte di Priamo e il suo pensiero corre al vecchio padre Anchise, alla moglie Creùsa, al figlio Iulo e alla casa distrutta. Mentre Enea constata di essere rimasto solo, vede Elena nascosta in un luogo appartato, accanto al tempio di Vesta. Al pensiero che essa potrà tornare salva in patria mentre Troia viene distrutta per colpa sua, Enea è assalito da un impeto d'ira; medita di uccidere la donna e di vendicare così tutte le vittime della guerra. Appare all'improvviso la madre Venere che lo distoglie dal suo proposito e lo esorta a pensare di mettere subito in salvo i suoi familiari: la responsabilità della guerra non è degli uomini, ma va ricercata nella volontà degli dei. La madre mostra a Enea lo spettacolo degli dei che si accaniscono contro i Troiani. Enea a quella vista si convince che non c'è più nessuna possibilità di salvare la città e si dirige verso la dimora paterna, dove trova il vecchio padre Anchise deciso a morire nella sua casa. Nonostante le preghiere del figlio, Anchise è irremovibile. Allora Enea, piuttosto che partire senza il padre, si arma di nuovo e si accinge a tornare a combattere. All'improvviso accade un prodigio: una fiamma avvolge il capo di Iulo. Anchise riconosce nella fiamma un segno divino e, dopo aver ottenuto una conferma della volontà degli dei, acconsente a seguire il figlio. Creusa, si dirige all'uscita della città, indicando ai suoi compagni come luogo di ritrovo un vecchio tempio abbandonato fuori dalle mura. Qui giunto, si accorge che tutti sono arrivati tranne Creusa. Enea ritorna disperato alla ricerca della moglie. Rientra nella casa paterna ormai invasa dalle fiamme, nella reggia di Priamo dove i Greci hanno ammassato un enorme bottino. Invano. Di Creusa non c'è più traccia. Infine, mentre nelle tenebre invoca ad alta voce il nome della sposa, gli appare il fantasma di lei già morta. Essa lo consola dicendogli che è morta per volere degli dei, mentre Enea dovrà affrontare un lungo viaggio verso occidente dove troverà un nuovo regno e una nuova sposa. Ritornato al tempio, Enea trova molti altri Troiani scampati all'eccidio pronti a seguirlo.
 

lunedì 28 maggio 2012

Libro 1

Il proemio e l'ira di Giunone [vv. 1-33]

Come l'Iliade e l'Odissea, l'Eneide si apre con l'esposizione dell'argomento del poema e l'invocazione alla Musa: il poeta si appresta a narrare le dolorose vicende e i pericoli affrontati da Enea prima di stabilirsi nel Lazio dopo la fuga da Troia, e chiede alla Musa che gli ricordi il motivo dell'ira implacabile che spinge Giunone a tenere lontani Enea e i suoi compagni dal lido italico. La dea predilige la città di Cartagine e agli antichi motivi del suo odio verso i Troiani se ne aggiunge un altro ben più grave: se Enea si insedierà nel Lazio, da lui discenderà una stirpe che dominerà su tutti i popoli del Mediterraneo e porterà rovina alla città che le è cara.

[vv.34-80]

La flotta troiana, continuando il suo viaggio, salpa dalla Sicilia diretta verso il Lazio. Giunone, risentita, si propone di ostacolare con ogni mezzo il viaggio di Enea. La dea è consapevole del fatto che il destino dell'eroe è quello di raggiungere l'Italia, ma non desiste dall'intento perché, se lo facesse, perderebbe il prestigio proprio della regina degli dèi. Si reca perciò presso la sede del re dei venti, Eolo, e lo convince a scatenare una furiosa tempesta contro la flotta di Enea. Come compenso, giunone promette in sposa a Eolo la più bella delle sue sette Ninfe.

La tempesta e l'approdo sulle coste della Libia [vv.81-221]

I venti scatenano una violenta tempesta che disperde le navi e le spinge verso la costa africana. Alcune navi sono in balia dei marosi e rischiano di affondare, altre urtano contro le scogliere, altre s'incagliano sui bassi fondali, una nave cola a picco. Nettuno però si accorge della tempesta e , indignato contro chi si è intromesso nel suo regno, impone ai venti di tornare nella loro dimora. Poi, correndo sull'ampia distesa del mare, riporta la calma. I superstiti trovano rifugio in un'insenatura dalle pareti a strapiombo, protetta da un'isoletta. Riescono ad approdare in questo porto naturale sette navi. I Troiani sbarcano e accendono un fuoco per asciugare il frumento bagnato. Frattanto Enea sale su un promontorio e guarda verso la distesa del mare alla ricerca di navi superstiti. Di lì vede invece un branco di cervi e ne uccide alcuni procurando così il cibo per tutti. Dopo che i naufraghi si sono sfamati, Enea, reprimendo l'angoscia e la preoccupazione per i compagni dispersi, conforta i superstiti, ricorda che insieme hanno affrontato situazioni ben più gravi e che ora più che mai dovranno mostrarsi coraggiosi: la meta è il Lazio dove finalmente potranno trovare una nuova patria.

[vv.223-253]

Tornata la calma sul mare per opera di Nettuno, la scena si sposta in cielo, dove Venere, la madre di Enea, si lamenta con Giove delle continue prove che il figlio è costretto ad affrontare, in contrasto con la gloriosa sorte promessa a lui e ai suoi discendenti

Giove conforta Venere [vv.254-296]

Giove sorridendo rassicura Venere che nulla è cambiato nel destino dell'eroe, il quale arriverà in Italia dove i suoi discendenti fonderanno un grande impero.

[297-417]

Giove manda Mercurio a Cartagine per fare in modo che i Cartaginesi, e in particolare la loro regina Didone, accolgano benignamente i Troiani. Enea, all'alba del giorno seguente, dopo aver nascosto le navi in un'insenatura protetta dai boschi, va a esplorare i luoghi circostanti accompagnato da Acate. I due incontrano una bellissima cacciatrice che li informa che si trovano sul territorio cartaginese, su cui regna Didone fuggita da Tiro, sua patria. A Tiro Didone aveva sposato Sichèo. Questi era stato ucciso dal fratello di lei, Pigmalione, che voleva impossessarsi delle immense ricchezze di Sicheo. L'ombra del marito era apparsa in sogno alla moglie esortandola a fuggire subito da Tiro. Didone obbedì e lasciò la città con una schiera di compagni portandosi i tesori che Pigmalione bramava possedere. La cacciatrice incoraggia Enea a entrare nella nuova città che Didone sta edificando e a chiedere ospitalità alla regina; inoltre, gli annuncia che le navi che credeva perdute sono scampate al naufragio. Detto questo, si dilegua ed Enea riconosce in lei la madre Venere. La dea avvolge Enea e Acate in una nube in modo da renderli invisibili. Giunti in città, i due salgono su un'altura da dove si possono scorgere i Tirii intenti alla costruzione degli edifici

L'accoglienza di Didone. Cupido fa innamorare la regina [vv.418-756]

Nel centro della città c'è un bosco sacro  nel quale Didone sta innalzando un tempio a Giunone. Enea entra nel tempio e comprende di essere tra uomini civili perché vede raffigurate in vari quadri le scene della guerra di Troia. Intanto nel tempio fa il suo ingresso la bellissima regina che con saggezza amministra la giustizia e distribuisce incarichi tra i sudditi. Davanti alla regina si presenta un'ambasceria di Troiani dispersi dalla tempesta e spinti in un altro punto della costa. Il loro capo Ilioneo supplica la regina di impedire l'incendio delle navi: essi sono naufraghi e non pirati venuti per saccheggiare, e sperano di ricongiungersi con il loro re Enea, la cui nave è stata dispersa dalla tempesta. Ilioneo chiede inoltre di essere ospitato con i suoi compagni per tutto il tempo necessario alla riparazione delle navi. Essa rassicura i Troiani e promette che saranno accolti amichevolmente: conosce le loro imprese e ciò che è accaduto alla loro città. Si augura che Enea sia sopravvissuto e si impegna a far perlustrare la costa alla sua ricerca. A queste parole Enea e Acate sono impazienti di presentarsi, mentre Venere rende più splendente di bellezza e di giovinezza il figlio. Didone accoglie benevolmente i supplici troiani che chiedono ospitalità. Enea esprime gratitudine ala regina, che lo invita al palazzo e provvede a mandare provviste ai Troiani rimasti in riva al mare. Acate è inviato alle navi perché informi Ascanio e lo faccia venire alla reggia recando vesti preziose e gioielli da offrire in dono alla regina. Venere diffida dei Cartaginesi e della regina e perciò decide di sostituire Ascanio con il figlio Cupido, affinché questi susciti nella regina l'amore per Enea. Venere spiega a Cupido il motivo della sua decisione e lo invita ad accendere la fiamma dell'amore nella regina, quando essa lo accoglierà in grembo. Cupido accetta volentieri l'incarico affidatogli dalla madre e sotto le sembianze di Ascanio giunge alla reggia con i doni. Ha inizio il sontuoso banchetto a cui prendono parte anche numerosi Cartaginesi. Didone, colpita dalla bellezza del falso Ascanio, fa sedere sul suo grembo il fanciullo che infonde in lei una viva passione per Enea cancellando dalla sua memoria l'amore per Sicheo. Terminato il banchetto, vengono portati grandi crateri pieni di vino. Didone brinda invocando la protezione degli dei sui Cartaginesi e sui Troiani. Poi il cantore Iopa allieta i convitati con i suoi canti che celebrano l'ordine cosmico. Didone, ormai vinta dall'amore, non si stanza di interrogare Enea sui fatti della guerra troiana e infine lo prega di narrare l'insidia del cavallo e le sventure toccate a lui dopo la distruzione della città.

Sintesi dei Libri

Libro 1
Libro 2